Partito l'angelo da Nazaret, «Maria, alzatasi, (anastàsa) si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta la città di Giuda»… È rischioso pensare che Luca voglia alludere a Maria come simbolo della Chiesa «risorta» che, in tutta fretta, si muove a portare lieti annunci al mondo?... La parola anastàsa sta a sottolineare per lo meno una cosa: la risolutezza di Maria… È lei che decide di muoversi per prima: non viene sollecitata da nessuno. È lei che s'inventa questo viaggio: non riceve suggerimenti dall'esterno. È lei che si risolve a fare il primo passo: non attende che siano gli altri a prendere l'iniziativa…
Santa Maria, donna del primo passo, ministra dolcissima della grazia preveniente di Dio, «àlzati» ancora una volta in tutta fretta, e vieni ad aiutarci prima che sia troppo tardi. Abbiamo bisogno di te. Non attendere la nostra implorazione. Anticipa ogni nostro gemito di pietà. Prenditi il diritto di precedenza su tutte le nostre iniziative. Quando il peccato ci travolge, e ci paralizza la vita, non aspettare il nostro pentimento. Previeni il nostro grido d'aiuto. Corri subito accanto a noi e organizza la speranza attorno alle nostre disfatte. Se non ci brucerai sul tempo, saremo incapaci perfino di rimorso. Se non sarai tu a muoverti per prima, noi rimarremo nel fango. E se non sarai tu a scavarci nel cuore cisterne di nostalgia, non sentiremo più neppure il bisogno di Dio. (Don Tonino Bello, Maria, donna dei nostri giorni) |
Anche se l'estasi era l'esperienza a cui Dio spesso la chiamava, non si sentiva dispensata dalla fatica di stare con i piedi per terra... Sì, anche lei ha avuto i suoi problemi: di salute, di economia, di rapporti, di adattamento… Come tutte le donne, ha provato pure lei la sofferenza di non sentirsi compresa, neppure dai due amori più grandi che avesse sulla terra. E avrà temuto di deluderli. O di non essere all'altezza del ruolo…
Santa Maria, donna feriale, forse tu sola puoi capire che questa nostra follia di ricondurti entro i confini dell'esperienza terra terra, che noi pure viviamo, non è il segno di mode dissacratorie. (Don Tonino Bello, Maria, donna dei nostri giorni) |
I discepoli, chiamati a seguire il Maestro di Nazaret, devono decidersi a passare all’altra riva, scegliendo con coraggio di abbandonare le proprie sicurezze e di mettersi alla sequela del Signore. Questa avventura non è pacifica: arriva la notte, soffia il vento contrario, la barca è sballottata dalle onde, e la paura di non farcela e di non essere all’altezza della chiamata rischia di sovrastarli. Il Vangelo ci dice, però, che nell’avventura di questo non facile viaggio non siamo soli… La prima parola della vocazione, allora, è gratitudine. Navigare verso la rotta giusta non è un compito affidato solo ai nostri sforzi, né dipende solo dai percorsi che scegliamo di fare. La realizzazione di noi stessi e dei nostri progetti di vita non è il risultato matematico di ciò che decidiamo dentro un “io” isolato; al contrario, è prima di tutto la risposta a una chiamata che ci viene dall’Alto. È il Signore che ci indica la riva verso cui andare. Quando i discepoli vedono Gesù avvicinarsi camminando sulle acque, inizialmente pensano che si tratti di un fantasma e hanno paura. Ma subito Gesù li rassicura con una parola che deve sempre accompagnare la nostra vita: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!» . Proprio questa è la seconda parola che vorrei consegnarvi: coraggio. Ciò che spesso ci impedisce di camminare, di crescere, di scegliere la strada che il Signore traccia per noi sono i fantasmi che si agitano nel nostro cuore. Quando siamo chiamati a lasciare la nostra riva sicura e abbracciare uno stato di vita – come il matrimonio, il sacerdozio ordinato, la vita consacrata –, la prima reazione è spesso rappresentata dal “fantasma dell’incredulità”: non è possibile che questa vocazione sia per me; si tratta davvero della strada giusta? Il Signore chiede questo proprio a me? Ma il Signore ci rassicura, oggi come allora. E così, pur in mezzo alle onde, la nostra vita si apre alla lode. È questa l’ultima parola della vocazione, e vuole essere anche l’invito a coltivare l’atteggiamento interiore di Maria Santissima: grata per lo sguardo di Dio che si è posato su di lei, consegnando nella fede le paure e i turbamenti, abbracciando con coraggio la chiamata, Ella ha fatto della sua vita un eterno canto di lode al Signore. Carissimi, specialmente in questa Giornata, desidero che la Chiesa apra brecce nel cuore di ogni fedele, perché ciascuno possa scoprire con gratitudine la chiamata che Dio gli rivolge, trovare il coraggio di dire “sì”, vincere la fatica nella fede in Cristo e, infine, offrire la propria vita come cantico di lode per Dio, per i fratelli e per il mondo intero. La Vergine Maria ci accompagni e interceda per noi. (Dal Messaggio di Papa Francesco per la Giornata delle Vocazioni)
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Come già anticipato la settimana scorsa, l’immagine di riferimento e di collegamento di questi giorni pasquali può essere rintracciata nell’esperienza descritta dagli Atti degli Apostoli, dove una Chiesa embrionale vive con semplicità e familiarità la novità della Risurrezione. Gli Atti ci aprono una pluralità di prospettive che sentiamo attuali e vicine a quanto stiamo vivendo: l’azione dello Spirito che sempre anticipa e precede le iniziative della Chiesa; la gioia di essere credenti credibili; l’evangelizzazione e la spinta missionaria; i processi di discernimento e di scelta all’interno della Chiesa; la nascita di forme ministeriali. Nel tempo di Pasqua vorremmo sottolineare ed evidenziare particolarmente due attenzioni:
Il primo punto l’abbiamo presentato nel 7 Giorni di domenica scorsa. In questo numero aggiungiamo qualcosa riguardo alla seconda sottolineatura.
2. «Nessuno tra loro era bisognoso» (Atti 4,34). L’attenzione alle necessità delle persone e la condivisione dei beni, perché nessuno sia privo del necessario.
La seconda attenzione che vorremmo fare nostra va nella linea della carità e della condivisione dei beni. Indubbiamente preoccupano la situazione e la tenuta sociale del territorio, che forse avranno conseguenze ancora più pesanti nei prossimi mesi, sul piano economico e occupazionale. Come comunità cristiana vorremmo crescere nello stile della prossimità e della cura reciproca. Ci rendiamo conto che siamo «tutti sulla stessa barca» - come ricordava Papa Francesco lo scorso Venerdì Santo - e siamo tutti potenzialmente delle persone in difficoltà. Non possiamo pensare solo a noi stessi, immaginando di salvarci da soli: possiamo invece sostenerci e affrontare insieme le povertà di questo tempo che sono relazionali e di solitudine, educative, economiche, occupazionali e di precarietà. All’interno trovate un comunicato della nostra Caritas con delle indicazioni concrete.
Il tempo di Pasqua è un momento entusiasmante per tutta la Chiesa. Festeggiamo la resurrezione di Gesù mentre leggiamo nelle Scritture la storia delle prime comunità cristiane: gruppi di donne e uomini generosi e radicali, capaci di annunciare la Buona notizia e costruire relazioni fraterne con tutti. «Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo» (Atti degli Apostoli 2, 46-47). Quest’anno il tempo di Pasqua giunge durante settimane surreali e faticose che ci fanno vivere tra mille domande. Siamo stati costretti improvvisamente a cambiare le nostre abitudini, mentre alcune attività fondamentali (lavoro, studio, relazioni, hobby) sono momentaneamente in pausa. Sentiamo il desiderio di affrontare questo momento storico con lo stesso spirito delle prime comunità cristiane. I primi discepoli erano chiamati a vivere la fedeltà a una parola e a una testimonianza rivoluzionarie, anche se il Signore non era più fisicamente tra loro. Sentiamo il bisogno di dirci che anche per noi, in modo del tutto originale, questi giorni sono un tempo della fedeltà. E’ il tempo della fedeltà al Signore, attraverso la cura della vita spirituale. In queste settimane abbiamo molte proposte di preghiera e riflessione: scegliamo come singoli o come famiglia, quella che più ci sembra adeguata, e viviamola come un piccolo compito fatto di costanza e di fedeltà. E’ il tempo della fedeltà alla vita, che sembra essere messa in pausa dalla pandemia. Ma non possiamo rimanere fermi, ciascuno nel proprio ambito. Chi ha la possibilità di continuare a lavorare senta la responsabilità di accompagnare il Paese verso il futuro, attraverso il suo impegno quotidiano. Tutti possiamo provare a mettere ordine nelle nostre giornate e magari a coltivare quelle dimensioni o aspetti per i quali non abbiamo mai il tempo. E’ il tempo della fedeltà ai fratelli, con cui condividiamo questo tempo. Possiamo trovare occasioni concrete per renderci utili nelle nostre comunità, attraverso iniziative di solidarietà. Possiamo farci compagni di strada con chi soffre o è provato dalla solitudine.
Buoni passi e buon incontro con il Signore Risorto. (Adattamento da un testo dell’AC) |
PASQUA 2020 MORIRE E RISORGERE CON CRISTO (dal Battesimo)
Carissimi, vi raggiungo anche a nome di don Ottavio, don Jean Luc, le suore e di tutto il Consiglio Pastorale per sentirci comunità cristiana uniti nella stessa fede e nella stessa speranza, nonostante i limiti imposti dalla triste e a volte drammatica situazione in cui ci si è trovati a vivere in questi ultimi tempi. Come vedete non è possibile farvi arrivare la consueta Edizione Speciale Pasquale dei 7 Giorni, anche perché tutto, a livello organizzativo e pastorale, è ridotto all’essenziale e soprattutto affidato all’iniziativa personale. Il Signore comunque non ci ha abbandonati, anzi ci sta ancora dicendo che, per amore nostro, è disposto a prendere sulle sue spalle la (nostra) croce perché il dono di se stesso diventi fonte di forza e modello di vita per tanti altri fratelli e sorelle che sono desiderosi di seguirlo in questo cammino pasquale. Tutto ciò è racchiuso dentro il senso del Battesimo che ci è stato dato un giorno grazie ai nostri genitori e che ha ‘acceso’ in noi la luce della fede, cioè questa relazione interpersonale con Dio Padre, Figlio e Spirito Santo che sostiene quotidianamente la nostra vita. Sempre la nostra esistenza cristiana è segnata da questa dimensione pasquale, inserendoci nella vita di Cristo morto e risorto. In questi giorni della Settimana Santa, vorremmo viverla in modo del tutto speciale, accompagnando Gesù, passo dopo passo, negli ultimi momenti della sua passione, che ci rivelano come Dio ha “tanto amato il mondo da dare il suo Figlio” e allo stesso tempo dai quali attingiamo spiritualmente i doni della salvezza che ci è stata data gratuitamente a partire dal nostro Battesimo. Quest’anno sfortunatamente, a motivo dell’emergenza sanitaria per il COVID 19, non potremo trovarci a celebrare insieme in chiesa nemmeno nella Settimana Santa e nella Pasqua, che per noi cristiani sono le celebrazioni più importanti di tutto l’anno liturgico. Tutto questo è fonte di grande pena e tristezza ma vogliamo offrire al Signore questa ‘fatica’ pasquale perché Lui, con la sua presenza e la sua grazia, la possa trasformare in esperienza di intima gioia, per gustare la dolcezza della risurrezione, dono di vita nuova e di vita piena che abbraccia il corpo e lo spirito, la nostra persona e chi ci è caro, l’umanità intera e tutto il creato.
Un augurio sincero di una Santa Pasqua nel Signore Risorto Don Giuseppe |
Spero che questa Lettera enciclica, che si aggiunge al Magistero sociale della Chiesa, ci aiuti a riconoscere la grandezza, l’urgenza e la bellezza della sfida che ci si presenta. In primo luogo, farò un breve percorso attraverso vari aspetti dell’attuale crisi ecologica allo scopo di assumere i migliori frutti della ricerca scientifica oggi disponibile, lasciarcene toccare in profondità e dare una base di concretezza al percorso etico e spirituale che segue. A partire da questa panoramica, riprenderò alcune argomentazioni che scaturiscono dalla tradizione giudeo-cristiana, al fine di dare maggiore coerenza al nostro impegno per l’ambiente. Poi proverò ad arrivare alle radici della situazione attuale, in modo da coglierne non solo i sintomi ma anche le cause più profonde. Così potremo proporre un’ecologia che, nelle sue diverse dimensioni, integri il posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda. Alla luce di tale riflessione vorrei fare un passo avanti in alcune ampie linee di dialogo e di azione che coinvolgano sia ognuno di noi, sia la politica internazionale. Infine, poiché sono convinto che ogni cambiamento ha bisogno di motivazioni e di un cammino educativo, proporrò alcune linee di maturazione umana ispirate al tesoro dell’esperienza spirituale cristiana.
16. Ogni capitolo, sebbene abbia una sua tematica propria e una metodologia specifica, riprende a sua volta, da una nuova prospettiva, questioni importanti affrontate nei capitoli precedenti. Questo riguarda specialmente alcuni assi portanti che attraversano tutta l’Enciclica. Per esempio: l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso; il valore proprio di ogni creatura; il senso umano dell’ecologia; la necessità di dibattiti sinceri e onesti; la grave responsabilità della politica internazionale e locale; la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita. Questi temi non vengono mai chiusi o abbandonati, ma anzi costantemente ripresi e arricchiti.
(Laudato Si’, 15-16).
La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare. Il Creatore non ci abbandona, non fa mai marcia indietro nel suo progetto di amore, non si pente di averci creato. L’umanità ha ancora la capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune. Desidero esprimere riconoscenza, incoraggiare e ringraziare tutti coloro che, nei più svariati settori dell’attività umana, stanno lavorando per garantire la protezione della casa che condividiamo. Meritano una gratitudine speciale quanti lottano con vigore per risolvere le drammatiche conseguenze del degrado ambientale nella vita dei più poveri del mondo. I giovani esigono da noi un cambiamento. Essi si domandano com’è possibile che si pretenda di costruire un futuro migliore senza pensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi.
14. Rivolgo un invito urgente a rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta. Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti. Il movimento ecologico mondiale ha già percorso un lungo e ricco cammino, e ha dato vita a numerose aggregazioni di cittadini che hanno favorito una presa di coscienza. Purtroppo, molti sforzi per cercare soluzioni concrete alla crisi ambientale sono spesso frustrati non solo dal rifiuto dei potenti, ma anche dal disinteresse degli altri. Gli atteggiamenti che ostacolano le vie di soluzione, anche fra i credenti, vanno dalla negazione del problema all’indifferenza, alla rassegnazione comoda, o alla fiducia cieca nelle soluzioni tecniche. Abbiamo bisogno di nuova solidarietà universale. Come hanno detto i Vescovi del Sudafrica, «i talenti e il coinvolgimento di tutti sono necessari per riparare il danno causato dagli umani sulla creazione di Dio». Tutti possiamo collaborare come strumenti di Dio per la cura della creazione, ognuno con la propria cultura ed esperienza, le proprie iniziative e capacità.
15. Spero che questa Lettera enciclica, che si aggiunge al Magistero sociale della Chiesa, ci aiuti a riconoscere la grandezza, l’urgenza e la bellezza della sfida che ci si presenta. (Laudato Si’, 13-15).
San Giovanni Paolo II si è occupato di questo tema con un interesse crescente. Nella sua prima Enciclica, osservò che l’essere umano sembra «non percepire altri significati del suo ambiente naturale, ma solamente quelli che servono ai fini di un immediato uso e consumo». Successivamente invitò ad una conversione ecologica globale. Ma nello stesso tempo fece notare che si mette poco impegno per «salvaguardare le condizioni morali di un’autentica ecologia umana». La distruzione dell’ambiente umano è qualcosa di molto serio, non solo perché Dio ha affidato il mondo all’essere umano, bensì perché la vita umana stessa è un dono che deve essere protetto da diverse forme di degrado. Ogni aspirazione a curare e migliorare il mondo richiede di cambiare profondamente gli «stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società». L’autentico sviluppo umano possiede un carattere morale e presuppone il pieno rispetto della persona umana, ma deve prestare attenzione anche al mondo naturale e «tener conto della natura di ciascun essere e della sua mutua connessione in un sistema ordinato». Pertanto, la capacità dell’essere umano di trasformare la realtà deve svilupparsi sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio. Il mio predecessore Benedetto XVI ha rinnovato l’invito a «eliminare le cause strutturali delle disfunzioni dell’economia mondiale e correggere i modelli di crescita che sembrano incapaci di garantire il rispetto dell’ambiente». Ha ricordato che il mondo non può essere analizzato solo isolando uno dei suoi aspetti, perché «il libro della natura è uno e indivisibile» e include l’ambiente, la vita, la sessualità, la famiglia, le relazioni sociali, e altri aspetti. Di conseguenza, «il degrado della natura è strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana». Papa Benedetto ci ha proposto di riconoscere che l’ambiente naturale è pieno di ferite prodotte dal nostro comportamento irresponsabile. Anche l’ambiente sociale ha le sue ferite. Ma tutte sono causate in fondo dal medesimo male, cioè dall’idea che non esistano verità indiscutibili che guidino la nostra vita, per cui la libertà umana non ha limiti. Si dimentica che «l’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso. Egli è spirito e volontà, ma è anche natura». Con paterna preoccupazione ci ha invitato a riconoscere che la creazione risulta compromessa «dove noi stessi siamo le ultime istanze, dove l’insieme è semplicemente proprietà nostra e lo consumiamo solo per noi stessi. E lo spreco della creazione inizia dove non riconosciamo più alcuna istanza sopra di noi, ma vediamo soltanto noi stessi». Questi contributi dei Papi raccolgono la riflessione di innumerevoli scienziati, filosofi, teologi e organizzazioni sociali che hanno arricchito il pensiero della Chiesa su tali questioni.
(Laudato si’ 5-7)